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Come stai? Una domanda scontata, quasi banale, ma che significa molto di più di una locuzione di cortesia. Nella settimana della Giornata Mondiale della Salute, in molti cercano di fotografare lo status quo dei nostri ragazzi.

di Ivano Zoppi
Presidente Pepita Onlus

Come stanno i ragazzi?

Un fermo immagine attendibile lo fornisce la Fondazione Umberto Veronesi, secondo la quale i ragazzi italiani hanno un’alta percezione della qualità di vita, ma le abitudini non sono così corrette.

Troppo alcol e gioco d’azzardo, pochissima attività fisica.
Due le ragioni di questa tendenza: tra i 14 e i 18 anni, nel momento in cui ci si affranca dai genitori, spesso i ragazzi non incontrano alcun medico.
Inoltre, i comportamenti che si assumono in questo periodo, il più delle volte permangono per il resto della vita.

Da qui l’importanza degli esempi e delle informazioni che vengono fornite ai ragazzi, a partire dalla scuola.

L’educazione alla salute

In questo senso, più che di salute, bisognerebbe parlare di “educazione alla salute”.
Non si tratta solo di un gioco di parole, ma implica un approccio continuo e rinnovato ai reali bisogni delle nuove generazioni, laddove per “educazione” si intende il processo di costruzione dell’identità della persona, l’insieme dei valori e dei riferimenti che regolano il rapporto con se stessi e con gli altri.
Non basta più il concetto di istruzione, con la scuola a fare da tappabuchi alle mancanze dei genitori. Serve una nuova presa di coscienza, che stimoli tutta la comunità educante a togliere la testa dalla sabbia e a chiamare le cose con il loro nome.

Abbandono scolastico e neet, la situazione in Italia

In Italia, nel 2021 il 12,7 per cento degli studenti ha abbandonato gli studi, ben tre punti percentuali in più rispetto alla media europea (9,7 per cento). Attualmente sono circa 517 mila i ragazzi che hanno interrotto il proprio percorso scolastico.
Di questi, solo uno su tre riesce a trovare occupazione. Il resto passa direttamente alla categoria dei neet (neither in employment nor in education and training), ovvero tutti coloro che non studiano né lavorano di età compresa tra i 15 e i 29 anni. Secondo l’Istat, la quota di neet in Italia (23,1 per cento) è molto più alta rispetto alla media Ue (13,1 per cento). Ecco “come stanno” i nostri ragazzi.

Salute e tabù

Una deriva che molti proiettano sulla crisi economica e sociale legata alla pandemia, ma che in realtà parte da molto più lontano.
Dai millennials alla Generazione Z, i giovani abitano sempre più il digitale. Cambiano i linguaggi, le esperienze e le relazioni. Si anticipano le conoscenze, ma diminuiscono le esperienze, quelle autentiche e formative alla base di un sano percorso di crescita.
Uno scenario che, secondo Pepita, avrebbe comunque presentato il conto ad una società ancorata alle vecchie logiche educative, dove termini come “salute mentale”, “depressione”, “ansia e inadeguatezza” sono stati nascosti sotto il tappeto dei tabù.

L’indagine Usa sulla salute mentale

Come per larga parte dei fenomeni di costume, per avere una piccola anteprima basta guardare Oltreoceano, dove il benessere psicologico dei ragazzi rappresenta un punto fondamentale per la salute dell’intera comunità.

Secondo un’indagine statunitense oltre il 50 per cento degli studenti che frequentano il college americano, che a differenza degli atenei italiani si frequenta dai 17 anni, soffre di stress e ansia da prestazione.
Un malessere che, nel tempo, si rivela una sorta di compagno di stanza, tanto che il 60.2% dei giovani adulti, tra i 18 e i 25 anni accusa problemi di salute mentale.

Un dato preoccupante nell’ottica del futuro della classe dirigente, che denota una scarsa efficacia delle politiche di assistenza e prevenzione del sistema Usa. A confermarlo l’ultimo report dell’Health Minds Study: circa il 60% dei giovani americani avrebbe ricevuto materiale informativo e di supporto psicologico durante la propria formazione.
Ciò significa che le strategie messe in campo dagli adulti non sono in linea con le reali esigenze delle nuove generazioni.

L’educatore di corridoio: Pepita si prende cura della salute dei ragazzi

Da qui la necessità di uscire dalla logica emergenziale per investire nella prevenzione e su quegli strumenti capaci realmente di intercettare il disagio prima che il malessere possa generare patologie, come attacchi di panico, ritiro sociale e disturbi del comportamento.
In questa logica si inserisce la sperimentazione promossa da Pepita in ambito scolastico.
Si tratta dell’educatore di corridoio, la nuova figura di pedagogista attivata in alcune scuole paritarie, a partire dalla Lombardia. Per educatore di corridoio si intende ”fuori dalla classe”, ovvero negli spazi dove solitamente si rifugia chi in classe non si trova bene, chi ne viene allontanato, chiunque non si senta parte del gruppo.

Il passo dal corridoio all’abbandono scolastico è breve.
Proprio qui interviene l’educatore, una sorta di salvagente offerto agli studenti per confidarsi, aprirsi, ritrovare stimoli e motivazioni.
Sono gli stessi ragazzi a comunicarci un disperato bisogno di punti di riferimento.

In questi anni la loro vera agenzia educativa non è più la scuola, ma lo smartphone, che dà sempre risposte in tempo reale. Poco importa se siano credibili o affidabili, a loro serviva una risposta. Quella che avrebbero potuto trovare in famiglia, dentro un confronto con i genitori, magari nel silenzio profondo di un abbraccio.
A volte basta esserci. Mostrarsi disponibili, vigili e coerenti con quelle aspettative che carichiamo sulle spalle dei nostri figli, spesso proiettando sul loro futuro le illusioni del nostro passato.
La salute dei nostri figli passa soprattutto dalla nostra capacità di prenderci cura di loro, ogni giorno e in ogni circostanza. Nella dimensione fisica, come pure in quella digitale.