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di Marco Bernardi, Psicologo e psicoterapeuta dell’età evolutiva

Nel corso dei grandi cambiamenti del pre-adolescente, il genitore deve essere solido, non fisso.

Cari lettori, oggi è una bella giornata di sole e mentre scrivo…anzi no, aspettate: oggi è una di quelle giornate grigie e di pioggia in cui non vorresti mai uscire, che alzarsi dal letto sembra la più grande…anzi no, mi correggo: è notte, una di quelle fredde notti d’inverno con il caldo afoso che ti fa sudare come in una sauna…

No, cari lettori, non siamo impazziti, né io né voi! Oggi voglio parlarvi di una fase della vita dei nostri figli davvero particolare, il momento in cui cambia tutto, in cui ci si trova da un giorno all’altro completamente diversi: la pubertà e la preadolescenza. Il corpo in questo periodo la fa davvero da padrone: lui cambia, repentinamente, senza un minimo di preavviso, senza controllo, senza darci alcuna possibilità di immaginarci come e quando finirà di cambiare. Ci ritroviamo diversi, in un corpo che non è più quello di prima, con sensazioni fisiche mai provate, alle prese con un compito estremamente complesso: accettare il cambiamento e progettare tutto in base ai nuovi schemi.

Questo cambiamento epocale avviene tutto all’interno: il corpo è qualcosa di nostro, la mente che deve ripensare al nuovo corpo è nostra, le sensazioni sono nostre, le emozioni sono nostre. Ma tutto questo si ripercuote anche sull’esterno: cambiano i modi di vestirsi, cambiano i pensieri, cambiano i gusti, cambiano gli amici, cambiano i rapporti coi genitori. E cambiano anche più volte al giorno. E allora quello che sembrava un pensiero delirante, nelle prime righe dell’articolo, voleva essere un maldestro tentativo di farvi entrare in questo mondo: non ci sono più riferimenti, una stessa giornata può avere contemporaneamente sole e pioggia, caldo e freddo, luce e tenebra. Nello stesso istante. I nostri ragazzi, ma con loro tutta la famiglia, saranno alle prese per parecchio tempo con questo turbinio di sensazioni e di rivoluzioni.

Genitori non allarmatevi, perchè in tutto questo stravolgimento una cosa che rimane solida c’è: siete voi. Non dico “rimanere fissi” perché sarebbe controproducente -in un mondo in cui tutto cambia, se anche io non cambio prima o poi mi ritrovo “fuori dal mondo”-, non dico fissi ma solidi: noi adulti abbiamo una nostra personalità e una nostra solidità che ci permette di cambiare ma nello stesso tempo di mantenere un nucleo di certezze e quindi non essere travolti. Cosa fare, allora, per aiutare i nostri pargoli in questo periodo così complicato?

Avremmo bisogno di tempo per poterci confrontare, di intensi momenti di condivisione tra genitori e con qualche guida che ci possa aiutare nel rispondere alle nostre domande. Proibisco o concedo? Tolgo lo smartphone o glielo lascio usare senza problemi? Come educo alla sessualità? Come educo al e nel digitale? E vogliamo parlare del cyberbullismo? Non chiedetemi, vi prego, risposte veloci, semplicistiche, valide per tutti, consigli che li leggo una volta e mi cambia il mondo, ricette facili e poco dispendiose che sicuramente funzionano: se io ve li dessi, sarei un ipocrita, anche un po’ megalomane e presuntuoso; se voi provaste a metterli in atto potreste essere fortemente delusi dai risultati. Amare ed educare non funzionano così. C’è bisogno di un confronto, c’è bisogno di approfondire, di entrare in contatto, di conoscersi, di condividere, di costruire qualcosa insieme. Non esistono FAQ per l’educazione!

Certo, noi di Pepita ci siamo, possiamo confrontarci e costruire insieme, ma nei luoghi giusti -nei corsi di formazione, nei gruppi oratoriani, nei momenti di supervisione- e con i tempi giusti.

Detto questo, vorrei proporvi una provocazione che forse può aiutarci ad indirizzare la nostra riflessione e la nostra azione quotidiana. È davvero necessario fare qualcosa? Che domanda, se non faccio niente come posso educare e modificare quello che non sta funzionando? Sono convinto che ci sia una azione educativa fondamentale che sembra una non azione ma è la chiave di volta: stare lì dove si trovano i nostri figli e ascoltare. Riconoscere, accogliere e accompagnare il cambiamento. I nostri figli non hanno bisogno che noi facciamo al posto loro o, al contrario, di una totale libertà del “faccio quello che voglio”: hanno bisogno di adulti capaci di mantenere il senso della realtà, capaci di dare dei limiti ai nuovi pensieri e azioni fuori controllo; ma soprattutto disponibili ad accogliere e a riconoscere i grandi cambiamenti. Non dobbiamo pensare di risolvere in fretta e furia la questione. Dobbiamo restare lì, con i nostri figli, per fargli sentire quell’abbraccio che ti riconosce come persona che sta cambiando e soprattutto che ti accetta e ti accompagna. I nostri figli, in questo momento, hanno ben altro a cui pensare, ma noi siamo lì con loro: a volte silenziosamente, a volte facendoci sentire, a volte vicini, a volte più distanti. Anche quando non sappiamo cosa fare, anche quando non sappiamo cosa dire. Senza voler parlare, spiegare, occupare tutto lo spazio con le nostre indicazioni ma sentendoci in dovere di ascoltare. Stiamo lì, con loro. È difficile, lo so, ma sono certo che un asso nella manica lo abbiamo tutti. È venuto il momento di giocarlo!

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