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Ansia e maturità; un binomio che rasenta il luogo comune, eppure mai come quest’anno così attuale. L’esame di maturità rappresenta la fine di un percorso, ma soprattutto l’inizio di un nuovo libro per tutti i nostri studenti. Lo sanno bene anche loro, carichi di aspettative e responsabilità, forse oltre il dovuto.

Arrivati a quest’ultimo capitolo di un lungo percorso scolastico, siamo sicuri di essere riusciti a intercettare i loro sogni?
Di aver compreso cosa rappresenti per loro questo ultimo miglio nel pianeta scuola?
Perché non basta chiudere gli occhi e tornare indietro di 20 o 30 anni per accompagnare gli studenti in questo rito di passaggio che tanto appartiene all’immaginario collettivo. Le distanze, infatti, vanno ben oltre quelle generazionali.
Quella che un tempo si chiamava inquietudine, irrequietezza, a volte rabbia, oggi si presenta spesso in forme diverse: apatia, fragilità, alienazione, disagio. Troppi i punti di domanda lasciati in sospeso da un mondo adulto che non sa o che non vuole rispondere, a partire dalle istituzioni. La scuola è rimasta la stessa prima della pandemia: nei programmi, nel rapporto con la vita vera, nella proiezione sul futuro delle nuove generazioni.
La Dad è stata vissuta come un ripiego, mentre doveva e poteva rappresentare un’opportunità per cambiare linguaggi, metodi e contenuti inchiodati al secolo scorso.

È questo l’equipaggiamento che vogliamo consegnare alle nuove generazioni per affrontare le sfide del domani? In attesa che il mondo adulto smetta di chiedere solo a se stesso quale sia il bene per gli adulti di domani, cominciamo ad impostare la “modalità ascolto” all’interno delle nostre famiglie.

Anzitutto con la consapevolezza che alla lavagna non vanno i genitori. I nostri ragazzi non hanno bisogno delle nostre agitazioni, né di sentirsi caricati di ulteriori aspettative. Lasciamo che siano loro a dirci come possiamo aiutarli e facciamoci trovare pronti quando sentiranno il bisogno di aprirsi.
Prima di entrare nella fase più calda, c’è ancora il tempo per capire se sono convinti su quale direzione prendere dopo gli esami. Per comprendere che hanno il diritto di sbagliare, di cadere e di rialzarsi. Per convincerli che possono raggiungere qualsiasi obiettivo, anche se difficile. Per assicurare loro che sarete sempre lì. Concetti semplici, ma spesso taciuti dal rumore degli impegni quotidiani.
Eppure così importanti per chi la guerra, dai libri di storia, l’ha vista spuntare nei telegiornali, invadere i social e occupare il dibattito pubblico. Un’attualità che, invece, avrebbe dovuto finalmente parlare di loro, dopo due anni segnati dalle restrizioni, nei quali tutte le relazioni sono state affidate al web, con buone pace di quelle interazioni fisiche già profondamente condizionate dalla sfera digitale.

E allora che fare?
Concedere qualche eccezione, negli orari e nei comportamenti non significa annullare le stesse regole condivise da tempo, utili per non perdere il senso del tempo e della misura. Un senso di tolleranza che può portare a buoni frutti, soprattutto se accompagnato da gesti di sorprendente semplicità. Una pausa caffè per ricaricare le pile dopo aver ripassato Ariosto, una passeggiata per rinfrescare le idee, piuttosto che “pane e nutella” dopo l’ennesima equazione valgono più di tante parole. Sopportare e supportare sono le due parole chiave del genitore “maturando”, protagonista di un equilibrio, tanto precario quanto sapiente, tra studio e svago, consigli e silenzi, privacy e ascolto…


Per “sopravvivere” alla maturità servono genitori alchimisti, che usano i propri ricordi e le proprie emozioni per intercettare ansie e bisogni dei propri figli.
Ben consapevoli che, alla fine di questa storia, non ci saranno più campanelle e intervalli, ma la grande scuola della vita, dove gli esami non finiscono mai.

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