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di Ivano Zoppi
Presidente Pepita Onlus

Benvenuti sul pianeta “consapevolezza”. 
Questo verrebbe da dire leggendo i vari appelli sull’uso di Whatsapp a scuola. Prima le presunte conversazioni tra uno studente e la dirigente di un liceo romano scatenano una petulanza collettiva, poi l’accanimento di un gruppo docenti sul figlio e sulla famiglia di una collega, naturalmente esclusa dalla chat.
Due episodi simbolo, ma al contempo sintomo, di un disagio ormai talmente diffuso da mettere in discussione la facoltà di ogni istituto di stabilire norme e regolamenti relativi al contesto e agli ambienti scolastici. Sono gli stessi presidi a interrogarsi sull’opportunità di affidare a Whatsapp le comunicazioni tra tutto l’ecosistema scolastico.
Se in tanti ironizzano sulle chat tra le mamme, quello stesso clima, quella famelica vocazione all’iperbole, all’insulto, al giudizio facile si sono trasferite sul piano culturale. “Una comunicazione comoda, fin troppo libera”, spiega la presidente dell’Associazione nazionale presidi del Lazio, Cristina Costarelli, “che andrebbe frenata, affinché non si sovrappongano le dimensioni professionali con quelle personali”. Le distanze imposte dal contesto sanitario durante gli ultimi due anni scolastici hanno valorizzato ogni canale che garantisse il mantenimento delle relazioni, nonché lo svolgimento del programma scolastico. Ora, però, il ritorno alla dimensione fisica – fermo restando il perdurare di quei comportamenti necessari alla tutela sanitaria di tutta la comunità scolastica – impone una riflessione seria e profonda circa i modelli e i codici che vogliamo applicare alla missione più importante: accompagnare le nuove generazioni nel loro percorso di crescita.
Educazione e tecnologia non sono due concetti dicotomici, ma è bene ricordare che i nuovi strumenti di comunicazione non riportano solo il messaggio, ma sono in grado di condizionarne il senso e, soprattutto, la misura. Da qui l’appello della referente Anp, con la quale ci sentiamo in sintonia rispetto ai contenuti, a tal punto che Pepita propone da anni alle scuole un supporto per la costruzione condivisa di una policy rivolta all’utilizzo delle nuove tecnologie.
Sposiamo totalmente l’appello per una “educazione di mezzo” all’uso dei nuovi media, delle App e dei social. Un vuoto che illumina una lacuna ancora più grande: da una parte il fallimento dell’operazione “Educazione civica”, che avrebbe dovuto creare i presupposti della tanto evocata cittadinanza digitale a beneficio di tutti; dall’altra l’immobilismo di una Scuola sempre in rincorsa, priva del necessario coraggio di ripartire dalle macerie della Dad per ricostruire dalle basi una proposta formativa, educativa e didattica al passo coi tempi. Una scuola figlia delle scelte gattopardesche da parte di istituzioni prive di visioni e orfane di politici lungimiranti.
Intanto la maturità si avvicina e gli studenti tornano a lamentarsi di un programma scolastico fermo ai Promessi Sposi. Eppure non esiste un’opera più opportuna per un intero sistema istruzione con la sindrome di Don Abbondio.

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