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A cura di Rosanna Milone

BARBIE: L’EDUCAZIONE ALL’AFFETTIVITà è anche qUESTIONE DI GENERe

Affettività, educazione sessuale, prevenzione della violenza di genere: ne abbiamo sentito tanto discutere negli ultimi tempi. 

All’improvviso, per qualche giorno non si è parlato d’altro: è esplosa questa bolla già latente da tempo. Iniziative ministeriali, dibattiti politici, media a tutti i livelli, hanno condiviso la consapevolezza che i nostri giovani crescono senza educazione sentimentale e che l’educazione sessuale è, troppo spesso e sempre più, delegata alla pornografia, accessibile online a qualsiasi età.

I casi di violenza sulle donne, i femminicidi, gli stupri di gruppo avvenuti uno dopo l’altro in Italia negli ultimi mesi hanno portato il New York Times a commentare che nel nostro paese la violenza sulle donne è  «un fenomeno culturale, profondamente radicato in una società sciovinista»; da un rapporto ISTAT e dal sondaggio di Action Aid emerge l’incredibile dato che ancora oggi in molti -anche tra i giovani- ritengono che le donne vittime di abuso abbiano in qualche modo provocato l’aggressione.

L’educazione all’affettività e alla parità di genere passano quindi dalla evidente necessità di un forte lavoro sugli stereotipi di genere

Su tutti quei meccanismi culturali che agiscono in automatico e preparano il terreno alla discriminazione, alla violenza psicologica e a quella fisica.

Spiegare ai bambini, già nella prima infanzia, cosa sia la violenza di genere, cosa sia il rispetto di sè e dell’altro, è fondamentale

per mettere fine ad una società in cui a luglio erano 70 le donne uccise in ambito familiare o affettivo. 

Educare bambini e ragazzi all’emozione è un altro aspetto fondamentale della prevenzione della violenza di genere

Significa affiancare i giovani a scoprire e a portare fuori il proprio sentire, le proprie paure, le proprie aspettative.

Molte delle violenze sulle donne hanno, infatti, origine anche nella “ineducazione” affettiva del maschio italiano: non piangere, non esprimere emozioni, non mostrare le tue paure, sono tutti diktat educativi che contribuiscono alle repressione di sentimenti che poi sfociano nella violenza.

Nei prossimi giorni scriveremo un articolo di approfondimento proprio su questo tema. Iscriviti alla newsletter o seguici nei social per non perderlo.

Pepita, antesignana anche in questo, già da qualche anno propone l’educazione all’affettività e alla sessualità già alle scuole primarie

Cos’è esattamente la violenza di genere, quali sono concretamente gli stereotipi di genere, nella vita di tutti i giorni, dalla battuta al modo di dire al trattamento in gruppo.

Devi rimanere bella per gli altri uomini ma non così bella da tentarli troppo o da minacciare le altre donne

è uno degli stereotipi citati nel film Barbie, inaspettatamente profondo e realistico film sulla condizione delle donne nel mondo di oggi, e lo fa partendo dall’immaginario Barbieland.

Barbieland: un mondo tutto rosa, pulito, sereno e fatato, dove Barbie regna incontrastata, in tutte le sue declinazioni.

Una dimensione ideale, per dirla alla Platone, colpita a  freddo da un sentimento, quello della malinconia di una madre che proietta sulla bambola della figlia adolescente la frustrazione per un rapporto complicato.

Da qui parte il viaggio di Barbie, alla ricerca di un’identità smarrita dopo il crollo delle certezze che sembravano poter durare in eterno, giorno dopo giorno.

Una storia alla scoperta dei sentimenti, con emozioni discordanti a dettare i passaggi più significativi di quello che, tra le righe, possiamo associare al

percorso di crescita di una giovane donna che deve fare i conti con il patriarcato, misurare le aspettative, impattare i giudizi e rispettare i confini imposti da una società grigia e rigida come le mura di una fabbrica, anche se si chiama Mattel

Battuta dopo battuta, i protagonisti crescono in consapevolezza, superando cliché e stereotipi.

Tra un sorriso e un ricordo sbloccato, la visionaria regista Greta Gerwig confeziona un piccolo capolavoro, meno stucchevole di quanto il soggetto potrebbe suggerire, nel segno di un’affettività già sondata a dovere nella pellicola “Piccole donne”. Anche in questo progetto il casting rappresenta un valore aggiunto per un film capace di tenere testa ad un colossal come “Oppenheimer“, del pluripremiato cineasta Christopher Nolan.

Ma la protagonista assoluta resta lei, Barbie, perfino al di là della bravura di chi la interpreta.

Barbie in tutte le sue versioni: da modello inarrivabile di perfezione imposto ad intere generazioni di ragazzine, a paladina dei diritti civili e della parità di genere.

Inclusiva, multietnica, plurale, grazie ad una continua evoluzione durata oltre mezzo secolo ha fatto fare pace tra il nutrito attivismo statunitense e la Mattel. In fondo è questo il segreto della Barbie mania che dalla scorsa estate accomuna mezzo mondo: saper interpretare i valori e gli ideali più cari alle nuove generazioni.

Tanti spunti di riflessione culminati in un finale a sorpresa che strizza l’occhio a Collodi. Barbie lascia il posto a Barbara e diventa finalmente una donna. In realtà, come per Pinocchio, si tratta dell’inizio di una nuova storia, quella che la porterà a realizzarsi come essere umano.