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di Marco Bernardi, Psicologo e psicoterapeuta dell’età evolutiva

A tutte le età i nostri figli hanno bisogno del nostro “abbraccio”: capiamo i tempi e i modi.

“Ecco, prendi te per esempio. Tu sei unico” spiegò la mamma “e anche io sono unica, ma se ti abbraccio non sei più solo e nemmeno io sono più sola.”
“Allora abbracciami” disse Ben stringendosi a lei.
La mamma lo tenne stretto a sé. Sentiva il cuore di Ben che batteva. Anche Ben sentiva il cuore della mamma e l’abbracciò forte.
“Adesso non sono solo” pensò mentre l’abbracciava, “adesso non sono solo. Adesso non sono solo.”
“Vedi” gli sussurrò la mamma, “proprio per questo hanno inventato l’abbraccio.”

(L’abbraccio, David Grossman)

Chi di noi non ha mai sperimentato la potenza di un abbraccio?
Chi non si è mai abbandonato tra le braccia di qualcuno -mamma, papà, amico o partner che sia?
Chi non ha mai sperato che l’altro prima o poi si accorgesse del nostro bisogno di essere tenuti tra le braccia?
Mi piacerebbe, con questi brevi articoli, fare con voi un viaggio che ci porterà a ricordare quanto ci fanno bene gli abbracci nella nostra vita, a pensare a quanto bene possano fare i nostri abbracci alle persone a noi care e a riflettere su come stare insieme ai nostri figli in modo soddisfacente, per loro e per noi.
Il coraggio di educare lo si vede anche qui: in come noi adulti sappiamo prenderci cura dei nostri figli, sappiamo ascoltarli, sappiamo stare accanto a loro, sappiamo “abbracciarli”.

Parlo di abbraccio per intendere una cosa precisa: quello che gli psicologi chiamano “contenimento” e “sostegno” o, per dirla con Winnicott, “holding”.
Quando un bambino viene al mondo è già geneticamente equipaggiato per entrare in relazione con la sua mamma, il suo papà e le persone del suo ambiente, ma ancora non è capace di dare senso a quello che succede dentro e fuori da lui, non sa ancora distinguere bene dove finisce lui e dove inizia l’altro e, perciò, il suo mondo deve, in un primo momento, adattarsi totalmente a lui per permettergli di non perdersi.
E questo è quello che viene naturale ad ogni mamma e ogni papà: sveglie ad orari improponibili, nuovi ritmi di vita, pappe e poppate, telefonate alla pediatra, occhiaie e sbadigli: tutto ruota attorno a lui o a lei.
E questo aiuta il piccolo a crescere, a sentirsi vivo.
Ma questo bisogno di essere contenuti, di essere capiti, di sentirsi vivi è qualcosa che non si esaurisce con l’infanzia ma riguarda tutta la vita. Questo bisogno attraversa tutta la crescita dei nostri figli, dall’infanzia all’adolescenza e alla giovinezza e il contenimento assume, e direi deve assumere, nuove forme: un conto è “abbracciare” un cucciolo tenero e pacioccoso, un altro è farlo con un sedicenne al profumo di ormoni; un conto è “abbracciare” la tua principessina dal sorriso ammaliante, un altro è farlo con una diciasettenne che ci mette due ore a prepararsi e di certo non lo fa per i suoi genitori.

In questo viaggio scopriremo che a tutte le età i nostri figli hanno bisogno del nostro “abbraccio”, del nostro sostegno e del nostro contenimento. Starà a noi capire tempi e modi per farlo. 

Allora partiamo, e da dove partire se non dalla nascita?
Capita spesso di pensare alla nascita come ad un evento talmente naturale e quasi ovvio che ci si dimentica della sua caratteristica più importante. È forse l’evento più sconvolgente della nostra vita. Immaginate di essere all’improvviso, proprio mentre state leggendo queste righe, catapultati fuori dalla vostra stanza e di trovarvi non nel corridoio di casa vostra ma su Marte: niente ossigeno, una gravità che vi fa sembrare di pesare meno della metà (un sogno per tanti di noi!), una temperatura mai sentita prima.
È perfino difficile da immaginare!
Eppure ogni bambino vive questa esperienza all’inizio della sua vita.
È un passaggio “dall’acqua all’aria”, letteralmente. Il bambino abituato a nuotare dentro la sua mamma, al sicuro, al caldo, con confini precisi e con quel ritmo di sottofondo tanto confortante, si trova in poco tempo in un posto che non è il suo. 

Ed ecco che il nostro piccolo comincia la frenetica ricerca di una luce, una voce, un odore o un altro “oggetto” sensibile che si possa toccare, che si possa sentire vivo, che possa tenerlo insieme evitandogli di andare in pezzi. E allora via alla ricerca del capezzolo, del calore di un abbraccio, della voce familiare sentita per nove mesi, dell’odore che tanto ricorda il vecchio mondo, di qualcuno che lo tenga, lo sostenga e lo contenga.
Ed ecco che da questo momento la mamma e il papà diventano davvero “mia mamma” e “mio papà”.
E qui potremmo pensare all’enormità del compito che aspetta un genitore: sarò capace? Riuscirò a prendermi cura di lui o di lei? A proteggere e a far crescere questo piccolo?
Non c’è da preoccuparsi: vostro figlio non vi chiede di essere tecnicamente perfetti, di conoscere tutte le strategie educative e di accudimento, di evitargli qualsiasi dolore o frustrazione. No, ma vi chiede una cosa più difficile: vi chiede di esserci.
Di tenerlo e di contenerlo, di fargli sentire il vostro affetto, di fargli sperimentare che agli errori si può rimediare.
Ha bisogno della vostra presenza e della vostra assenza, ha bisogno dei momenti di perfetta sintonia in cui ci sembra di capirlo e di capirci perfettamente e dei momenti di mancata sintonia in cui sperimentare di potercela fare da solo perché tanto poi la mamma e il papà ritornano sempre.
Ha bisogno di voi come coppia e di voi come singoli. E poi state tranquilli: di egregi tecnici e professionisti che possano aiutarvi nei momenti di crisi è pieno il mondo.
Di genitori affettuosi -capaci di abbracci che contengono, di parole che danno senso al pianto e che fanno sentire la vicinanza, di giochi fatti non per sviluppare l’intelligenza ma per godere nello stare insieme-, ecco, di genitori vostro figlio ne vuole solo due. Voi.

Il viaggio continua…