02 87264399 info@pepita.it
Condividi l'articolo di Pepita con i tuoi contatti

La piccola preghiera di un educatore

di Ivano Zoppi
Presidente
Pepita Onlus

Da una parte le recenti manifestazioni e autogestioni imposte dagli studenti, senza neppure tentare la strada del dialogo, con il benestare dei genitori. Dall’altra una scuola completamente anacronistica, ferma al secolo scorso, priva di una visione rispetto ad un mondo sempre più complesso e multimediale.
Due forze che spingono su lati opposti, che rischiano di strappare definitivamente un modello scolastico lacerato dall’immobilismo, da false riforme e rattoppato da qualche campagna sociale “usa e getta”.
Dopo due anni di DAD, la scuola sembra un pugile all’angolo, chiusa in se stessa, che aspetta solo che qualcuno getti la spugna.
E invece no, ancora un altro round, non si sa mai… 

In questo stallo, da questa costante agonia, l’unico modo per uscirne è quello di suonare il gong, fermarsi e prendere fiato. Riavvolgere il nastro per capire dove, e cosa, ci siamo persi. 

Tutto ruota attorno ad un termine abusato, a tal punto da perdere quasi significato: educazione.

Risse, prepotenze, apatia… “I ragazzi non sono educati”, si dice da troppe parti, ma cosa significa? Chi può rispondere all’odierno vuoto educativo? A chi spetta il compito? 

Una domanda che attende risposte da tanto tempo che ci siamo dimenticati di aver posto. E intanto vige lo status quo. In questo impasse ognuno fugge le proprie responsabilità: la politica, la scuola, le famiglie e gli stessi ragazzi. Studenti senza aule, senza spazi, senza sogni e senza guida.
Perché educare significa condurre, “tirare fuori” il buono ed il bello che c’è in ciascuno di loro.

Questo dovrebbe essere il tema, ma ci crediamo davvero? Se il compito educativo della scuola è quello di orientare, perché non farlo innovando, magari introducendo nuovi modelli o recuperandone altri.

Una scuola aperta al mondo, ma con le radici ben piantate nel territorio e nelle sue vocazioni. Una scuola “palestra di emozioni”, che possa diventare pentagramma di quei valori universali impartiti dalle famiglia, ma che vanno tradotti nelle relazioni ed esercitati nella convivenza civile, nel rispetto dei ruoli e del prossimo. Una scuola che non si rinchiuda nelle strutture ma che accompagni i ragazzi a strutturare il loro percorso, la loro identità.
Per rimettere la persona al centro e declinare al futuro il potenziale delle nuove generazioni non basta la propaganda di un’educazione civica confusa, frammentata, inefficace e incompatibile. Una proposta calata dall’alto, inconciliabile, nei linguaggi e nella prassi, con il mondo dei ragazzi. Con il risultato di avere ulteriormente allontanati la futura classe dirigente da uno Stato sempre più “confusionale”, lontano e autoreferenziale. 

Rispetto a quella scientifica o umanistica, il successo della formazione tecnica – con alcuni Istituti che spiccano per avanguardia e percorsi di introduzione al mondo del lavoro – conferma una società che vede nei giovani una leva per assicurare se stessa, mentre dovrebbe essere il contrario.

Da quando il futuro dei ragazzi dipende soltanto da ciò che faranno? 
Se fino a qualche anno fa le giovani generazioni si prendevano il mondo da soli, oggi le bandiere sono diventati i social, e agli ideali si fanno preferire gli influencer. Ma questi ragazzi vengono dal futuro, hanno imparato a scrivere prima con i polpastrelli, poi con la penna. Vogliono partecipare, vogliono aprire le braccia e spiccare il volo…

E noi? Come li stiamo accogliendo? Abbiamo dato loro una rotta, una pista da cui partire e sulla quale fare atterrare in sicurezza speranze, paure, emozioni? 
Cominciamo da qui, rimettiamoci tutti in discussione e proviamo a ripartire mettendoci in ascolto; tenendo gli occhi e il cuore bene aperti. Ci vuole solo un po’ di coraggio, il coraggio di educare.

Leggi anche…